Molto spesso non si conoscono le ragioni notevolissime che ci sono dietro l’emanazione di una norma di legge che, di primo acchito, a volte, può sembrare ingiusta, illogica e in generale “sbagliata”.
Effettivamente, però, una Legge non fa altro che fotografare, in maniera spesso statica, un determinato bisogno di una collettività. Il legislatore dovrebbe tentare di emanare leggi elastiche, che siano in grado di adattarsi ai cambiamenti socio-culturali della popolazione che, in una società sempre più multiculturale, sono all’ordine del giorno.
“La Legge è Legge” è un concetto che fa parte degli ideali illuministi che, però, presuppone che il giurista sia dotato un vero e proprio superpotere: quello di essere in grado di scrivere una legge talmente perfetta da non lasciare spazio ad interpretazione alcuna. Niente di più utopistico. Tutto è interpretabile. Gli stessi articoli sull’interpretazione delle norme lo sono.
Bisognerebbe partire dalla consapevolezza che l’uomo è un animale fallibile e che, peraltro, non vuole perdere la propria libertà di espressione.
Quando ci capita di guardare film e serie TV che trattano i temi delle grandi ingiustizie storiche, spesso “ci arrabbiamo” e chi chiediamo il perché nessuno sia intervenuto. Infatti, in questi casi, il popolo ha ben presente quali sono i suoi diritti. Non ha bisogno di una legge che glielo ricordi. Il fatto di aver violato una legge non sempre significa aver compiuto un’ingiustizia.
A ben vedere, a titolo esemplificativo, praticamente tutto ciò che hanno fatto i nazisti in Germania, durante la seconda guerra mondiale, era pienamente legale. Quella di disobbedire alle leggi ingiuste credo sia una vera e propria responsabilità morale. Ad ogni buon conto, semplificando, si può affermare che: una legge che degrada la personalità umana è ingiusta, quella che la eleva è giusta.
Entrando nel merito, sempre più spesso capita che la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, per non parlare degli organi dell’Unione Europea, con le loro decisioni, creino dei precedenti che, de facto, riducono di molto le differenze fra i sistemi giudici di Civil law e di Common Law. Il nostro Paese, ormai, viaggia a due velocità. Spesso, infatti, questi organi agiscono in maniera più efficace e, soprattutto, rapida rispetto al Parlamento italiano, organo a cui è attribuita la funzione legislativa nel nostro Paese. In una società sempre più multiculturale come la nostra dunque, sempre più spesso capita che le Leggi non rispondano prontamente alle esigenze del Paese.
Qualche anno fa, la Corte di Cassazione, emanava la Sentenza n. 28720/2008 con la quale dichiarava “non colpevole” un soggetto che consumava abitualmente marijuana.
Il Signor Giuseppe G. di religione Rastafariana, era stato condannato, vedendosi comunque concesse le attenuanti generiche, alla pena di 1 anno e quattro mesi di reclusione ed €. 4.000,00 di multa dal Tribunale di Terni in data 23 Settembre 2002 perché dichiarato colpevole del reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dal D.P.R. n. 309/90 all’articolo 73, per illecita detenzione di marijuana in quanto trovato in possesso di più di 97 grammi di sostanza.
Egli, quindi, adiva la Corte di Appello di Perugia, che, con sentenza del 13 Dicembre 2004, confermava il giudizio di 1^ grado, ribadendo la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, sottolineando come, a prescindere dal fatto che il signor Giuseppe G. si fosse dichiarato adepto alla religione Rastafariana, il quantitativo di stupefacente fosse comunque molto elevato e questo non lasciava ai giudici ritenere che si potesse trattare di un uso esclusivamente personale.
Avverso tale sentenza, il signor Giuseppe G., proponeva ricorso in Cassazione deducendo, come motivi del gravame, la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, le precedenti sentenze, non avevano tenuto in considerazione le ragioni di appartenenza alla religione Rastafariana comprovata dalla documentazione prodotta in giudizio dall’imputato. Infatti, gli adepti di tale religione, utilizzano “l’erba sacra” con scopi meditativi. Utilizzata nella contemplazione della preghiera nel ricordo e nella credenza che, tale erba sacra, sia cresciuta sulla tomba del Re Salomone, e da esso ne avrebbe tratto forza, come si evince da manuali e testi che indicano le caratteristiche di questa religione. Il mero dato ponderale, infatti, non è sufficiente a ritenere che il soggetto utilizzasse la sostanza ai fini di spaccio. Non vi è, infatti, un’automatica rilevanza, ai fini penali, dell’eventuale ed ipotetico superamento della soglia massima che la legge autorizza per l’uso personale (1).
La Suprema Corte di Cassazione, dunque, accoglieva il ricorso ritenendolo fondato ribadendo che “non sembra che, i giudici della Corte territoriale perugina, abbiano operato una logica ricostruzione del fatto in relazione al comportamento dell’imputato all’atto dell’intervento dei verbalizzanti”. La Corte d’ Appello aveva trascurato la valutazione delle circostanze di tempo, luogo e modalità comportamentali dell’imputato, le quali non sembravano potessero costituire una finalità di spaccio della sostanza.
Con questa decisione, il giudice, si poteva riappropriare della funzionale e genetica prerogativa di “osare”, mirando, così, ad armonizzare (senza, peraltro, stravolgerla) la norma rispetto alle condotte quotidiane (2).
Veniva, così, abbattuta quella “torre d’avorio” dove troppe volte l’ermeneuta cerca rifugio nel timore di conferire alla legge significati anomali, che, in realtà, invece, a ben guardare appaiono calzanti rispetto ai comportamenti comuni della persone.” (3).
I media e della politica italiana avevano poi semplificato la questione sostenendo che la Corte legittimasse l’uso di stupefacenti, purchè ci si convertisse ad una religione come il Rastafarianesimo senza che vi fossero conseguenze penali. Personalmente credo che sia superfluo commentare tali assunti.
Anche tale materia è in continua evoluzione. Infatti, nel Dicembre 2020, la Marijuana è stata ufficialmente rimossa dalla lista delle sostanze pericolose dall’Organizzazione Delle Nazioni Unite. Tale rimozione era stata suggerita, peraltro, dall’OMS già nel 2019.
E’ bene, dunque, conoscere le differenze fra Diritto e Legge. Sono concetti che a volte coincidono, altre no. Prerogativa del Legislatore, in futuro, dovrebbe essere quella di evitare vuoti normativi e di essere in grado, costantemente, di operare interpretazioni evolutive senza il rischio che una legge non risponda alle esigenze concrete dei cittadini.
Riferimenti: (1), (2), (3), C. A. ZAINA, “A proposito della recente sentenza della Cassazione su religione rasta e marijuana”, Diritto.it, Pag. 2.