Sappiamo, ormai da tempo, che lo snellimento della disciplina inerente i contratti pubblici, in Italia, riguarda principalmente la semplificazione delle procedure di valutazione ed affidamento, piuttosto che una diminuzione dei sistemi e dei procedimenti burocratici. Anzi, le grandezze tendono ad essere inversamente proporzionali: all’aumentare della burocrazia, diminuisce la qualità della prestazione contrattuale.
Già nel lontano 2014, il legislatore europeo, attraverso la direttiva 2014/23/UE, esprimeva una chiara preoccupazione, in tal modo espressa: “Le autorità pubbliche degli Stati membri talvolta non riescono a utilizzare il denaro pubblico nella maniera migliore, in modo tale da offrire ai cittadini dell’Unione servizi di qualità”. La finalità delle direttive del 2014 era, infatti, quella di creare un sistema, in capo alle amministrazioni pubbliche degli Stati membri, in grado di gestire correttamente sia l’acquisizione di fattori produttivi sia il loro utilizzo al fine di ottenere servizi e lavori di alta qualità.
In applicazione del pacchetto di direttive del 2014, la disciplina nazionale del decreto n. 50 del 2016 lasciava agli enti locali un’ampia discrezionalità nel prevedere standard qualitativi legati alle prestazioni contrattuali, riprendendo in maniera quasi speculare le prescrizioni contenute nelle direttive europee (1).
La direttiva UE n. 24 “chiedeva” agli Stati membri di imporre l’adozione, nei confronti di tutti gli enti pubblici locali, di sistemi e strumenti in grado di: a) definire specifiche tecniche di esecuzione, che tenessero conto delle esigenze estetiche, ambientali, sociali, del lavoro, dell’habitat naturale degli animali; b) valutare l’idoneità del personale dell’operatore economico, in relazione all’oggetto dell’appalto; c) valutare l’effettivo raggiungimento del risultato in termini di qualità dell’opera.
Nella normativa nazionale, il possesso di particolari requisiti tecnici relativi sia alle caratteristiche dell’opera che alla professionalità del contraente è contemplato, però, come una possibilità per le amministrazioni appaltanti nazionali. L’articolo 95 comma 6 lett. a) del decreto n. 50/2016, afferma che gli elementi utili a definire la qualità della prestazione sono considerati facoltativi per la conclusione del contratto. In materia di esecuzione della prestazione, le disposizioni previste dall’articolo 100 e ss. affermano che le amministrazioni appaltanti o concedenti possono richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto e che dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali.
Le criticità maggiori non attengono tanto alla previsione di principi qualitativi da rispettare in sede di progettazione ed esecuzione degli appalti pubblici; l’omissione maggiore è infatti rappresentata dal mancato obbligo di adozione di sistemi e strumenti idonei a verificare la dimensione qualitativa delle prestazioni, oltre che di strumenti utili alla misurazione ed al controllo dei parametri stabiliti tanto durante la fase di progettazione quanto nella fase negoziale della stipula del contratto.
Le criticità di tale omissioni sono chiaramente riscontrabili nella realtà pratica. In mancanza di una regolamentazione omogenea a livello nazionale, i singoli comuni, province e regioni affidano la qualità dell’esecuzione contrattuale ai propri regolamenti interni. Si citano, a tal riguardo: il Regolamento edilizio del Comune di Padova, ricco di riferimenti alla qualità della prestazione contrattuale dell’appalto, sia per quanto riguarda le aree verdi, sia per quanto concerne la cura del centro storico. Tale regolamento risulta essere sensibile ai cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio, riguardanti il maggior interesse a terminologie quali ambiente e sviluppo sostenibile.
Difatti, il continuo aggiornamento dei piani per l’edilizia porta l’attuazione dell’ultima modifica al 2020.
Prendendo visione del regolamento edilizio del comune di Taranto, invece, il quale dovrebbe essere attento – più di ogni altro – alla valorizzazione ed alla riqualificazione degli ambienti urbani, si può agevolmente riscontrare come esso sia fermo ad una deliberazione comunale del 1974, peraltro inserita nel sito web del Comune in forma di scannerizzazione! (SIC!!!).
Nei tempi a noi contemporanei, la Gazzetta Ufficiale n. 129 del 31 maggio 2021 ha riportato il Decreto Legge n. 77/2021, recante le misure di accelerazione e snellimento per l’affidamento e l’esecuzione degli appalti pubblici. Si tratta del primo concreto pacchetto di riforme – legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – finalizzate a velocizzare l’attuazione delle opere previste dal Recovery Plan, snellendo le procedure attualmente in vigore e disciplinandone la relativa governance.
A primo impatto, di snellimento vi è ben poco: vengono difatti istituiti ex novo uffici, unità e collocamenti di varia natura ed organizzazione:
Viene istituito il Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale (art. 3); la Segreteria tecnica, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (art.4) per supportare il lavoro svolto dalla c.d. cabina di regia, cioè l’adunanza dei Ministri competenti per materia, presieduta dal Presidente del CDM; l’Unità’ per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione ed un nuovo Ufficio per la semplificazione (art.5), ai quali sono assegnati contingenti di personale che verranno retribuiti – con soldi pubblici, si intende – dai 200 mila ai 400 mila euro l’anno (comma 4); il Servizio centrale per il PNRR, cioè un ufficio centrale di livello dirigenziale generale, con compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR, istituito presso il MEF; un Ufficio per il Controllo, audit, anticorruzione e trasparenza (come se l’ANAC non dovesse bastare, ovvero non dovesse essere all’altezza della resilienza che caratterizza il nuovo piano di riforme). Presso il Ministero della cultura è istituita la Soprintendenza speciale per il PNRR, ufficio di livello dirigenziale generale straordinario operativo fino al 31 dicembre 2026.
Sono istituiti (art. 45), inoltre, presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici (MIT), fino al 31 dicembre 2026: un Comitato speciale ed una struttura di supporto, il cui personale sarà retribuito con circa 700 mila euro annui.
Il maggiore problema, tuttavia, non attiene tanto alla bulimica previsione di strutture burocratiche (2), quanto piuttosto alla concreta valutazione dell’offerta da parte delle singole amministrazioni appaltanti. Il criterio noto come offerta economicamente più vantaggiosa (Most Economically Advantageous Tender) veniva nel 2014 interpretato espressamente sotto la definizione di “miglior rapporto qualità/prezzo”. Tale criterio si riferiva: a) ad una serie di caratteristiche oggettive e soggettive, relative alle proprietà intrinseche dell’opera eseguita ed alla capacità dell’operatore economico; b) all’adeguatezza del rapporto prezzo/costo dei fattori operativi acquisiti (risorse reali e finanziarie) rispetto all’uso che se ne deve fare nella realizzazione dell’attività.
Ad oggi, il problema della valutazione qualitativa delle prestazioni contrattuali non sembra superato. Anzi, l’articolo 10 comma 3 del citato D.L. 77/2021 afferma che la valutazione della congruità’ economica dell’offerta ha riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, mentre la motivazione del provvedimento di affidamento da’ conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio (!) di tempo e di risorse economiche.
Possiamo affermare, in tale sede, che il risparmio di tempo e di risorse economiche possano davvero giovare all’esecuzione degli appalti ed alla manutenzione delle opere esistenti, già di per sé molto precarie?
Fabrizio Gatti, scrittore e giornalista de “L’Espresso”, ha compiuto un viaggio da nord a sud per testimoniare la drammatica condizione delle strade ed autostrade italiane: ruggine, corrosione, calcinacci distaccati, lavori abbandonati (3). Questa situazione si aggiunge alle già note tragedie e mancate tragedie della nostra epoca recente. Si pensi al Viadotto Polcevera di Genova, il cui crollo costò la vita a 43 persone, ovvero al crollo del viadotto di Fossano, ovvero della recente voragine creatasi nelle strade del Comune di Roma, ultima di una lunga serie di sventure che colpiscono varie infrastrutture di vari comuni italiani. In vista della “ripresa”, il paese sembra continuare a sgretolarsi.
A tutto ciò, si aggiunge la previsione (art. 50 co. 4 del D.L. 77/2021) di un premio di accelerazione, attribuito all’appaltatore, qualora l’ultimazione dei lavori avvenga in anticipo rispetto al termine indicato da contratto, per ogni giorno di anticipo rispetto al cronoprogramma dei lavori, nei limiti delle risorse disponibili presso l’ente appaltante (che dovrebbero essere razionalizzate il più possibile).
La riflessione deve condurre ad una interpretazione critica di provvedimenti che, sembrando molto lontani dalla esperienza quotidiana, prediligono la semplicisticità delle procedure di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici, piuttosto che di una loro “semplificazione”.
Referenze:
(1) articolo 70 della direttiva n.24, secondo il quale l’esecuzione della prestazione contrattuale ”può” avvenire in applicazione dei criteri qualitativi; articolo 58, nel quale è dichiarato espressamente che le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici eseguano l’appalto con “un elevato standard di qualità”. Ed ancora, citando il considerandum n. 90: “le amministrazioni pubbliche sono libere di fissare norme di qualità adeguate”, tenendo conto delle specifiche tecniche che sono richieste dall’oggetto contrattuale.
(2) M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Il D.lgs 1 aprile 2016 n. 50 S.M.I.: principali novità e alcune riflessioni critiche, in D. GAROFALO [a cura di], Appalti e lavoro volume I disciplina pubblicistica, Giappichelli, 2017, pp. 75 – 76.
(3) F. GATTI, Ruggine, corrosione e cemento sbriciolato: il drammatico degrado delle strade d’Italia, 28 maggio 2021.