L’emergenza Coronavirus ha causato enormi flessioni del PIL in molti Paesi del mondo. L’Europa, in particolare, si è trovata a dover pensare a una misura capace di dar risposta alla presente emergenza senza precedenti. Una soluzione condivisa tuttavia non è stata facile da trovare se si considerano i contrasti interni. Se da un lato, infatti, prendeva forma lo schieramento degli Stati che hanno una posizione di maggior contenimento del bilancio europeo, avversi alle ipotesi di condivisione del debito, come Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Austria ,cioè i cosiddetti Paesi Frugali. Dall’altro, invece, si schierano i Paesi come l’Italia o la Spagna, duramente colpiti dall’emergenza. Recovery found letteralmente significa “fondo di recupero” ed è chiamato anche “Next Generation Eu“.

Con il Next Generation EU, l’Unione Europea ha preso una strada decisamente diversa rispetto al passato, associando alla scelta concorrenziale (che, ovviamente, rimane la sua stella polare) una politica industriale che, nel passato, aveva sempre tenuto a distanza, concentrandosi su green e digitale (ben il 57% dei fondi). L’idea di fondo, infatti, è che per la competizione globale conta sempre più la leadership tecnologica e l’innovazione. E per raggiungere tale scopo, l’Unione ha bisogno dell’ausilio necessario di tutti gli Stati membri e, quindi, anche delle loro Amministrazioni. Pertanto il fondo di ripresa è associato al bilancio a lungo termine dell’Unione Europea, dal 2021 al 2027.

Il finanziamento di questo fondo per ripartire avviene attraverso una raccolta di liquidità da parte dell’Europa con l’emissione di particolari “Recovery Bond”. Tuttavia in una situazione sanitaria ed economica difficile come quella italiana, il cui prolungarsi genera tra l’altro crescente insofferenza nell’opinione pubblica, i fondi straordinari dell’Unione europea per la fase post-pandemia offrono a detta di tutti un’occasione irripetibile di sviluppo. Per la prima volta nella sua storia, l’Unione europea ha deciso di attingere al mercato dei capitali in modo massiccio per finanziare 750 miliardi di euro di prestiti destinati agli Stati membri. A detta dello scrivente, rappresenta un salto di qualità istituzionale senza precedenti che però potrà risultare vano nei suoi effetti pratici se ad esso non corrisponderà la capacità degli Stati nazionali di concepire progetti finanziabili all’altezza e poi di dare attuazione agli stessi.

È soprattutto in quest’ultima fase che entrerà in gioco la Pubblica amministrazione. La strada stretta si potrebbe muovere tra due bisogni primari: proteggere le risorse da eventuali illeciti accaparramenti e liberare le procedure amministrative da pastoie burocratiche che impedirebbero l’impiego lecito dei fondi. La P.A. necessita di un restyling dei suoi processi, che vada a migliorare diverse aree: dalla scelta dei dirigenti alle loro funzioni, dagli incentivi economici a quelli “psicologici”, dalla selezione del nuovo personale ai percorsi di affiancamento e formazione on the job. Oggigiorno il tema della capacità amministrativa è di primaria importanza.

Da un lato, la crisi Covid-19 sta imponendo alle pubbliche amministrazioni di dirottare le proprie energie dall’ordinaria amministrazione alla gestione degli effetti della pandemia. Dall’altro, lo Stato italiano sta per essere inondato di risorse provenienti dal bilancio europeo; risorse che dovranno essere spese rapidamente e bene”. Quel che è certo è che per affrontare una questione di così grande rilevanza c’è bisogno di un metodo “scientifico” che supporti il decisore politico nell’effettuare scelte che si dovranno basare necessariamente su una visione di lungo respiro, una visione di insieme capace di disegnare le soluzioni per individuare gli asset strategici. Una PA che dovesse intraprendere un simile percorso di riforma, oltre a cogliere le sfide della ripresa economica, diventerebbe davvero alleata delle prossime generazioni.

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