(Ancor di più, in tempi di gravi inquietudini)
Ognuno di noi ha delle guerre da combattere, che non sono necessariamente quelle tra Nazioni! Io posso raccontare della mia, nata tra i banchi dell’università, ascoltando alcuni miei colleghi e loro conoscenti costretti a lavorare per pagare i propri studi.
Parlo qui di un altro tipo di guerra: quella dello sfruttamento, quella del e contro il caporalato.
Battezzo la questione come “evasione contributiva”, dal momento che, in questo fenomeno, non sono versati i contributi dovuti ex lege agli enti assicurativi; un’economia sommersa volta ad impoverire, a lungo andare, quel prestatore di lavoro obbligato ad accettare condizioni lavorative al limite della sopravvivenza per portare un piatto di pasta ai propri figli, facendo arricchire il proprio datore di lavoro. In tal caso parlerei di “ingiustificato arricchimento”, ma non voglio soffermarmi su quest’ultimo, vado oltre il problema, descrivendo cosa va a sorreggere quei “limiti della sopravvivenza” di cui menzionavo prima.
Nel mio territorio si parla spesso di caporalato, un fenomeno molto diffuso, costituito da mediatori illegali di manodopera e gestori di attività lavorative secondo le richieste dell’imprenditore agricolo.
Il caporale “ingaggia” per conto del proprietario i braccianti stabilendo, addirittura, il loro compenso, senza seguire minimamente alcuna imposizione legale, infangando in tal modo quelle che sono le condizioni dei contratti collettivi nazionali e della tutela normativa. Piange così la nostra Costituzione italiana, la quale ci offre l’ART. 36.
Dalla seconda metà del 900, con lo sviluppo del diritto del lavoro, la pratica burbera del caporalato è progressivamente emersa come attività della criminalità organizzata volta all’elusione della disciplina sul lavoro, mirante allo sfruttamento illegale e a basso costo di manodopera agricola spesso privi di versamento dei contributi previdenziali, difendendosi con la classica e diffusa frase: “SE VUOI LAVORARE, QUI E’ COSI’!”, credo che frasi più umilianti di questa, non ce ne siano!
In Puglia il caporalato ha raggiunto l’apice della sua violenza nel maggio del 1980, quando tre ragazze di Ceglie Messapica, stipate in un pulmino di caporali in sovrannumero, persero la vita. Il 21 luglio dello stesso anno, a Villa Castelli, otto caporali armati di pistola aggredirono i sindacalisti della CGIL assaltando la sede locale del sindacato. La situazione negli anni è decisamente precipitata: nell’agosto del 2018, 12 braccianti agricoli, ammassati in un furgone, morirono sulla strada a causa di un incidente nel foggiano.
La domanda che mi son posto è questa: di che tipo di reato parliamo? Di qualcosa che non è diverso dalla schiavitù moderna; anzi, può essere considerata la nuova forma di schiavitù, la quale esiste ancora, a distanza di secoli!
L’ART.600 cp. è molto chiaro: la riduzione in schiavitù non è più concepita come quattro secoli fa, dove si trattava di privazione della libertà con le catene: ora le nuove forme di schiavitù vengono circoscritte all’interno di un sistema nel quale il soggetto, la vittima, lo schiavo, subisce continuamente un processo di progressiva vulnerabilità.
La mia voce è volta a sensibilizzare ancor di più la questione andando ad incentivare la denuncia contro queste “schiavitù moderne”; di non rimanere in silenzio per paura di subire ritorsioni! Le circostanze, infatti, travalicano il solo lavoro nel settore primario.
Pensiamo al momento che stiamo attraversando, una “pandemia COVID-19” che mette alla prova tutti, sia prestatori che datori di lavoro. Sarà forse una lezione di vita?
Le circostanze vedono una cassa integrazione basata sulle ore lavorative segnate sul contratto e non su quelle effettivamente lavorate! In alcuni casi si parla di 10-12 ore di lavoro percependo un salario basato su 4-5 ore di prestazioni. Questa è una lezione anche per quei datori che in questo momento si trovano in difficoltà lavorative, percependo un guadagno pari allo stipendio dato ai propri dipendenti; se tutto va bene, si arriva entrambi a 1000€ al mese, con una intera famiglia da sfamare.
Sono pronto a tutto, anche dare la mia vita pur di salvare anime disperate! Pensiamo ai nostri cari, ai nostri padri e madri che sono costretti a subire umiliazioni pur di veder crescere i propri figli e permettere loro di proseguire gli studi per una miglior vita.
Credo però nella Giustizia. Questo fenomeno non verrà contrastato soltanto con la repressione, ad onta che la Magistratura e alcune realtà stiano svolgendo un lavoro enorme al fine di incentivare le denunce, affinché vengano sottoposti a gravi sanzioni penali tutti coloro i quali commettono questo reato, anche con sanzioni detentive.
L’illegalità, d’altro canto, deve poter essere combattuta anche con la prevenzione!
Un sistema di controllo efficace dovrebbe contemplare il monitoraggio di questi fenomeni ed il loro completo sradicamento, da parte dell’Autorità governativa, oltre che garantire l’imparzialità dei “controllanti”.
Bisogna controllare, denunciare, anche arrivando ad arrestare “senza alcuna pietà”, perchè il caporale non ha pietà di nessuno! Forse neanche di se stesso!